ALESSANDRO
PERISSINOTTO
Torinese, è docente di Editoria Multimediale
all’Università di Bergamo e di Teoria e Tecniche
dei Nuovi
Media all’Università di Torino. Collabora inoltre
con il
quotidiano La Stampa, per il quale scrive articoli e racconti che
appaiono sul supplemento TorinoSette. Infine è terzino
destro
(non sempre titolare) nell'Osvaldo Soriano Football Club, la
nazionale di calcio degli scrittori italiani. Dopo aver scritto alcuni
saggi - Il testo multimediale (Utet-Libreria) e,
con G.P. Caprettini, il Dizionario della fiaba
(Meltemi, Premio C. Nigra per il folclore)-. Nel 1997 approda alla
narrativa con il romanzo poliziesco L’anno che uccisero
Rosetta
(Sellerio), storia di un’indagine condotta negli anni
’60
in un remoto paese delle alpi piemontesi, al quale fa seguito, nel
2000, La canzone di Colombano
(Sellerio), un "noir" ambientato tra Val di Susa e Delfinato
all’inizio del Cinquecento. Il suo terzo romanzo, Treno 8017
(Sellerio, 2003), è ancora una storia con delitto che prende
le
mosse da un fatto vero, la morte di oltre cinquecento persone in un
incidente ferroviario del 1944, un fatto poco noto e mai chiarito. Ad
ottobre è prevista l’uscita del suo nuovo romanzo,
Al mio giudice (Rizzoli).
Treno 8017
– Sellerio
Torino, giugno 1946. Nell'Italia liberata si fanno gli ultimi conti, si
consumano postume vendette. Adelmo Baudino è un ex ispettore
della polizia ferroviaria, uomo di mezz'età, parti-giano.
L'epurazione che ha risparmiato senza riserve i tanti suoi colleghi
veramente compromessi, ha colpito lui, per pura stupidità
burocratica, e lo ha ridotto a un lavoro umiliante e un destino da
povero. Quando legge sul quotidiano che è morto accoltellato
l'unico pronto a testimoniare per lui del gesto patriottico che lo
scagionerebbe, sente arrivato l'ultimo tradimento di una vita sempre
matrigna. Ma Adelmo conosceva bene quel ferroviere, conosce l'ambiente:
certi particolari, un certo ritratto che emerge della vittima non
collimano e lo spingono a curiosare. E trova tra le cose del morto un
articolo con il nome di un altro ferroviere e una scritta: "Italia 3
marzo 1944 la mia vendetta per te". L'indagine che segue, per ottenere
un titolo di merito che lo riabiliti, lo porta su una scia di sangue
che da Torino attraversa la penisola: ad altre scritte, ad un mazzo di
rose appassite, a una donna solitaria e fiera, all'odio alla paura e
alla sciagura che solo la più grande sciagura della guerra
può mimetizzare. Treno 8017 è un poliziesco
all'italiana,
potendosi ormai chiamare così quel genere in cui trame
gialle si
radicano in caratterizzati ambienti delle mille patrie italiane, in
personaggi accomunati da tratti umani familiari, e in quel particolare
umano malinconico e amaro di chi apre l'uscio sugli interni delle case
e delle vite.
L’incipit
Balvano (Potenza), notte tra il 2 e 3 marzo 1944
“Pieno carico questa notte!”
“Ogni volta è così: cominciano a salire
‘ncopp ‘o treno a Portici e a Salerno ci sta
già la
folla; dopo sono assalti all’arma bianca ogni volta che
rallenti”.
“Bisognerebbe sbatterli giù tutti; ‘stu
treno è un merci, ci stanno dei regolamenti”.
“Eh, hai voglia coi regolamenti; ma qui lo sai tu quanti
treni passeggeri passano su questa linea?”.
“no”.
“Due la settimana. E ti pare che con due treni alla settimana
tutti sti cristiani possono campare?”
“Hai ragione pure tu. Io scendo a buttare dentro un
po’ di
carbone, che mo’ arriviamo alla galleria in salita”.
Al mio giudice -
Rizzoli
Luca Barberis, ricco e stimato esperto di sicurezza informatica, autore
di un brutale omicidio, è fuggito all’estero.
Potrebbe
scomparire nel nulla ma è un appassionato lettore di Simenon
e
per questo, emulo del protagonista della Lettera al mio giudice,
dà avvio a uno scambio epistolare – aggiornato
sotto forma
di e-mail – con il magistrato che sta conducendo le indagini.
Il
carteggio scava alla ricerca delle ragioni che hanno fatto di un uomo
di successo un reietto costretto a nascondersi. Luca ha infatti ucciso
perché così voleva la sua vittima, non aveva
altra
scelta: ora vuole solo capire in quale rete è caduto. Dietro
alla storia del delitto prende forma l’angoscia di chi ha
creduto
nel denaro e nelle sue regole. La posizione di Luca si complica quando
muoiono altre persone e il suo nascondiglio viene scoperto: con il
gatto Candide come unico compagno, seguendo l’eco delle
canzoni
di Jacques Brel, giungerà sulle spiagge del Mare del Nord,
dove
la vicenda troverà una sorprendente conclusione.
L’incipit
Inviato: giovedì 29 aprile 23.12
Da: angelo@nirvana.it
A: miogiudice@nirvana.it
Oggetto: Perché ho ucciso
Vuole
sapere come l’ho ucciso? Vorrei saperlo anch’io.
No, certo,
non il freddo resoconto dei fatti di quella sera: chissà
quante
volte l’ha letto nei verbali degli interrogatori e nelle
perizie
della Scientifica. No, intendevo come ho fatto a prendere la decisione
di ucciderlo; si, perché a un certo punto ho deciso e
l’ho
fatto. Non credevo che ne sarei stato capace, a dire il vero non ci
avevo mai pensato: l’omicidio non è
un’idea come
un’altra, un’eventualità che prendi in
considerazione. Adesso so che lo posso fare, che magari lo
rifarò. Ma quella sera no, quella sera non era previsto:
come la
solito sono le coincidenze, le occasioni a fare gli assassini.
Ha partecipato all'Edizione 2004 e 2005
|