BEN PASTOR
Nata da una famiglia italiana, laureata a Roma ma trasferitasi ben
presto negli Stati Uniti, ha insegnato Storia e Antropologia presso le
università dell’Ohio e dell’Illinois, ed
è
attualmente docente di Scienze sociali presso il Vermont College della
Union University. Oltre a Lumen
(Hobby&Work, 2001), Luna bugiarda
(Hobby&Work, 2002) e Kaputt Mundi
(Hobby&Work, 2003), fortunatissimi thriller sullo sfondo della
Seconda Guerra Mondiale, è autrice de I misteri di
Praga
(Hobby&Work, 2002) omaggio “in giallo” alla
cultura
mitteleuropea di Franz Kakfa e Joseph Roth, mentre negli Stati Uniti ha
dato alle stampe un saggio monografico sull’opera di Federico
Garcia Lorca. Nel 2004 è uscito La canzone del
cavaliere (Hobby&Work), giallo sulla morte del poeta
spagnolo Federico Garcia Lorca, mentre il suo ultimo romanzo
è Il morto in piazza
(Hobby&Work, 2005).
La canzone del
cavaliere – Hobby&Work
Spagna, 1937. La guerra civile tra i repubblicani e gli insorti
franchisti non conosce un istante di tregua: tra le lande assolate
dell’Aragona non si stanno confrontando solo due eserciti,
bensì due visioni del mondo, due modi inconciliabili di
intendere la vita e i suoi valori. Nel giro di pochi anni da questa
terribile fucina sortirà un’Europa diversa, in
corsa
irreversibile verso l’abisso della Seconda Guerra Mondiale.
Ma i
destini dell’Europa, almeno per il momento, poco importano al
ventenne Martin Bora, il futuro soldato-detective di Lumen, Luna
bugiarda e Kaputt Mundi. Convinto volontario del Tercio franchista,
Bora vive il conflitto spagnolo come un’avventura
entusiasmante e
un po’ scapestrata, dove il rigore delle scelte politiche si
sposa all’impeto vitalistico dell’azione pura. I
primi
dubbi, tuttavia, cominciano ad apparire quando Bora si imbatte nel
cadavere di un uomo barbaramente assassinato. Si tratta nientemeno di
Federico Garcia Lorca, il cuore selvaggio della Spagna, brillante poeta
e drammaturgo, progressista, omosessuale. Chi l’ha fatto
fuori?
Per quale motivo? E perché è stata fatta
circolare la
falsa voce (condivisa da entrambi gli schieramenti) secondo cui la
morte violenta di Lorca – per mano degli insorti nazionalisti
– era avvenuta a Granada un anno prima? Le versioni ufficiali
non
convincono affatto il giovane volontario dalla Germania, che, sempre
più coinvolto nel mistero (e intimamente affascinato da
Remedios, una ragazza in odore di stregoneria depositaria di molti
segreti), inizia una pericolosissima inchiesta per vederci chiaro, in
paradossale sincronia con l’indagine condotta da un
“nemico”, l’internazionalista
statunitense Philip
Walton. Ben presto il tedesco e l’americano uniranno le loro
forze, e quella che si svilupperà – fino
all’imprevedibile colpo di scena conclusivo – non
sarà soltanto un’appassionante detection in cerca
di un
colpevole e di un movente, ma anche un’umanissima dialettica
esistenziale tra i due investigatori, alla fine della quale, a caso
risolto, né Bora né Walton saranno più
gli
stessi…
L’incipit
Cañada de los Zagales. Provincia di Teruel,
Aragona, Spagna nord-occidentale. 13 luglio 1937.
Dalle canne slanciate si levava un fruscio di pioggia, ma non pioveva
da un mese, e negli argini le acque del torrente scorrevano basse.
Da dove si trovava, Martin Bora distinse subito la morte.
Più di
un’immobilità: una totale, esanime mancanza di
quella
tensione che preannuncia un moto imminente. Negli ultimi tempi
l’inerzia delle cose disanimate gli era divenuta familiare, e
subito la riconobbe abbracciando con lo sguardo la curva della
mulattiera, là dove gli alberi si infoltivano. Dalla sponda
del
torrente, rimettendosi l’uniforme dopo aver fatto il bagno,
non
riuscì a indovinare la sagoma. Non erano giorni da essere
indiscreti questi. Eppure era curioso, come era curioso di sapere della
vita e dell’attimo in cui cessa di esistere. Così,
anche
in tempo di guerra civile, Bora non smise di fissare la massa scura
accasciata e si affrettò a spingere biancheria bagnata su
cotone
bagnato su pelle bagnata.
Il morto in piazza
– Hobby&Work
Il romanzo inizia poche ore dopo la conclusione di Kaputt Mundi,
allorché Martin Bora, in fuga da Roma liberata, viene
intercettato da una fazione antinazista dei servizi segreti tedeschi e
spedito in Abruzzo con l’incarico di portare a termine una
missione decisiva per le sorti degli avversari del Reich: si tratta di
recuperare il leggendario carteggio Churchill-Mussolini che
quest’ultimo, prigioniero sul Gran Sasso un anno prima, aveva
affidato a Luigi Borgonovo (un suo vecchio amico socialista attualmente
al confino politico ) per evitare che cadesse nelle “mani
sbagliate” (sia anglo-americane che tedesche). Una volta
recuperato il carteggio, Bora dovrà distruggerlo e uccidere
a
sangue freddo l’unico testimone degli eventi: lo stesso
Borgonovo.
Fedele alla consegna, anche se intimamente tormentato
dall’idea
di dover eliminare un civile, Bora raggiunge Faracruci, il paese ai
piedi del Gran Sasso dove Borgonovo sta scontando il confino. E qui,
nel giro di pochissime ore, le cose diventano terribilmente complicate
grazie a un cadavere sbucato dal nulla, rinvenuto nella piazza del
paese in abiti civili. Perché questo “morto in
piazza” è in realtà un soldato
dell’esercito
americano che un movente misterioso ha fatto infiltrare in incognito a
Faracruci. Ma qual è questo movente? Lo stesso che ha
condotto
Bora in Abruzzo, il recupero delle “carte
maledette” di
Mussolini, oppure una ragione diversa, e magari ancora più
contorta, complicata, drammatica? E chi è
l’assassino? E
cosa c’entra con tutto questo un omicidio irrisolto avvenuto
in
paese venticinque anni prima?
Pressato dal tempo (gli Alleati sono ormai alle porte), tallonato dalle
SS che lo sospettano di tradimento, circondato dalla diffidenza degli
abitanti di Faracruci, Martin Bora ha a disposizione soltanto sei
giorni per risolvere il caso, smascherare l’assassino e
convincere Borgonovo a rivelargli il nascondiglio del carteggio. E
stavolta, se fallirà, il prezzo che dovrà pagare
sarà altissimo.
L’incipit
Attraverso il parabrezza della Mercedes, a pochi passi
di
distanza, il panzer sembrava una stampa colorata del Vesuvio in
eruzione: nel buio la montagna vomita fuoco, crea turbini e girandole
di fumo, catapulta frammenti in una corona pirotecnica di scintille.
Passandovi di lato, il vapore del metallo incandescente si
accompagnò al tanfo insopportabile della carne cremata; ma
neanche questo, per nauseabondo che fosse, oscurò la
suggestione
delle fiamme che lambivano la notte dall’abitacolo del Tigre.
Tutt’intorno l’erba secca del ciglio ardeva in un
istante,
uno stelo alla volta o interi ciuffi assieme, come fiammiferi impazziti
che si trasmettono l’un l’altro la scintilla e
allegramente
consumano la scatola. Simile a un eretico al rogo, il corpo riverso del
carrista – a testa in giù dalla torretta
– emetteva
spirali di fiamme grasse. Dentro, con ogni probabilità, il
resto
dell’equipaggio era ridotto in cenere, al di là di
ogni
possibile identificazione.
Ha partecipato all'Edizione 2004 e 2005
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