La passione per il delitto
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GIANCARLO NARCISO
Milanese, appassionato soprattutto d’Oriente, dove ha vissuto per oltre dieci anni assorbendo modi, cultura e filosofia, Giancarlo Narciso è anche un irrefrenabile peripatetico che ha compiuto quattro volte il giro del mondo, stabilendosi di volta in volta a Tokyo, in Kuwait, a Kathmandu, a San
Francisco, a Città del Messico, a Singapore, svolgendo i lavori più disparati, dalla comparsa all’interprete, dal reporter sportivo al modello, dal dirigente d’azienda al contrabbandiere. Apparentemente rinsavito per via dell’età, si limita ora a passare sei mesi all’anno in quella che considera la sua vera patria, l’isola di Lombok, in Indonesia e gli altri sei a Riva del Garda. Ha scritto i romanzi I guardiani di Wirikuta, Sankhara (finalista premio Scerbanenco), Le zanzare di Zanzibar, Singapore Sling (vincitore premio Tedeschi e soggetto del film Rai "Belgrado Sling") e Otherside. A questi si affiancano il dramma horror Eclissi e numerosi racconti. Con lo pseudonimo di Jack Morisco firma per Mondadori una fortunata serie di romanzi di spionaggio ambientati a Singapore e dintorni, di imminente ristampa in un rigoroso author’s cut per Alacran. Nel 2006 è uscito Incontro a Daunanda (Dario Fraccovio).

Incontro a Daunanda – Dario Flaccovio
Che da quella donna dovesse stare alla larga, Rodolfo l’aveva intuito fin dal primo momento. Troppo bella, tanto per cominciare. Troppo portata a mettersi nei guai. E quando la bella scompare, a lui, che dopo anni di separazione si è ricongiunto con l’amico José Luis, non resta che partire alla ricerca della donzella in pericolo. Ma nell’isola di Lombok, dove anche gli incubi sembrano sdoppiarsi in un gioco di specchi, la ricerca diventa una pericolosa partita a scacchi, in cui nulla è ciò che sembra.

Le zanzare di Zanzibar – Fazi
Una classica road story, ambientata in una Città del Messico affascinante e pericolosa, popolata di personaggi dall’identità spesso dubbia e dai traffici quasi sempre loschi, Le zanzare di Zanzibar segnano l’“esordio” di Rodolfo Capitani, l’irrequieto, vagabondo protagonista della trilogia di cui fa parte Singapore Sling, vincitore del Premio Tedeschi e già pubblicato da Fazi Editore. Immancabilmente alle prese con qualche guaio, perennemente in fuga – soprattutto da se stesso – anche qui Rodolfo Capitani dovrà districarsi tra un susseguirsi frenetico di imprevisti e colpi di scena. Suoi compagni di avventura l’amico José Luis, un italiano dall’oscuro passato politico, costretto a viaggiare sotto falso nome, e la bellissima e misteriosa Marisol, incontrata per caso e di cui Rodolfo si invaghisce. Sarà proprio la ragazza a proporre ai due amici – confinati senza un soldo in una bettola dove stanno organizzando una truffa per impadronirsi di poche migliaia di dollari – un affare che potrebbe rappresentare il passaporto per una nuova vita: un chilo di coca da trasportare dalla Colombia in Messico. Il rifiuto di Rodolfo fa prendere ai tre strade diverse: José e Marisol partono per la Colombia, lasciando solo, e geloso, Rodolfo, cui presto giunge notizia dell’arresto dell’amico e della scomparsa della ragazza. Nella stanza d’albergo in cui José Luis è stato arrestato, Rodolfo trova, in un nascondiglio segreto, i settantamila dollari frutto del traffico di droga. Si stabilisce in una cittadina sperduta nel deserto, dove Marisol si rifà viva. I due cominciano una relazione tormentata. Rodolfo è diviso tra l’attrazione per la donna e il sospetto che il vero motivo della sua presenza sia quello di scoprire che fine hanno fatto i settantamila dollari.

L’incipit.
Spinsi la tendina ed entrai, lasciandomi alle spalle il bagliore sozzo di Calle Lazaro Cardenas. La tenda si richiuse con un fruscio, oscurando frammenti di immagini che non ero riuscito a distinguere. Da qualche parte nel buio, un moscone si alzò in volo, con un ronzio petulante. Tornò a posarsi e nell’aria restò solo il mio ansimare affannoso. Un respiro profondo, tra brevi, serrati, ancora uno profondo.
“Qué quiere?”, abbaiò una voce di donna nell’ombra.
Girai il capo e a fatica ne indovinai la sagoma. Cinquant’anni, forse, secchio e scopa e grembiule scuro.
“Cercavo José Luis”, dissi, “José Luis Hernandez”.
Sollevò il secchio e si avviò verso il fondo dell’antro. Mi rispose brusca, passandomi a fianco. “Stanza quarantatre. Quarto piano, in fondo”.

Ha partecipato all'Edizione 2004 e 2006