PACO IGNACIO TAIBO II
Nato in Spagna, a Gijón, nel 1949, dal 1958 vive a
Città
del Messico. Scrittore, giornalista, ex docente universitario,
è
un autore di romanzi molto noto e amato anche nel nostro paese. I
lettori italiani hanno conosciuto il detective Hèctor
Belascoarán Shayne, attraverso le sue avventure pubblicate
in
Italia da Marco Tropea Editore: Giorni di battaglia,
Qualche nuvola, Il fantasma di Zapata,
Niente lieto fine, Fantasmi
d’amore, Sogni di frontiera e Stessa
città stessa pioggia. Anche gli altri romanzi di
Taibo sono usciti per Marco Tropea Editore: la raccolta di scritti Te
li do io i Tropici (2000), Rivoluzionario di
passaggio, Sentendo che il campo di battaglia,
Ma tu lo sai che è impossibile, Eroi
convocati (in La banda dei quattro) e Ritornano le
ombre (2002). Il Saggiatore ha pubblicato Ombre
nell'ombra (2002), Senza perdere la tenerezza (fortunatissima
biografia di Ernesto Che Guevara, 2002), Arcangeli
(2003), La lontananza del tesoro (2003), e Come
la vita (2004).
Fantasmi
d’amore – Marco Tropea
Fantasmi d'amore contiene due casi a metà tra gli orrori del
Dipartimeno di polizia di Città del Messico e il romanzo
rosa:
proprio quando viene ritrovato il cadavere di Angel, lottatore di lotta
libera e suo caro amico, Belascoaràn apprende che due
adolescenti sono morti insieme apparentemente legati da un patto
suicida. Come se non bastasse, il detective è sul punto di
impazzire per una delusione d'amore.
L’incipit.
Héctor osservò il volto mascherato di un
lottatore su cui
scorreva una lacrima, Si stupì. Primo, i lottatori non
piangono,
è un assioma indiscutibile; secondo, c’era un
problema
tecnico: la maschera avrebbe dovuto ostacolare il naturale fluire delle
lacrime. Eppure, malgrado le due obiezioni, quel tizio stava senza
dubbio piangendo. Héctor si avvicinò
rimangiandosi la
precedente decisione di seguire il tutto da lontano. Al centro della
strada, un gruppo di lottatori mascherati, con mantelli e costumi dai
colori vivaci (arancione, giallo canarino, nero con inserti argentati)
portava sulle spalle un grosso feretro grigio metallico.
Sogni di frontiera
– Marco Tropea
Sogni di frontiera è un'indagine onirica e sgangherata lungo
il
confine tra Messico e USA. Una star del cinema è
misteriosamente
scomparsa e l'investigatore decide di esplorare la frontiera per
cercarla. Qui, inseguendo la donna che appare e scompare come una carta
da gioco nelle mani di un prestigiatore, incontra il fantasma di Pancho
Villa e ascolta i racconti delle prostitute zacateche.
Héctor
dovrà risolvere il caso attorniato da una delirante
tribù
di agenti travestiti da venditori di cucine, cinesi che rimbalzano da
una parte all'altra del confine, nani che vendono profilattici bucati e
narcotrafficanti che organizzano improbabili concorsi di bellezza.
L’incipit.
“Ma l’ha visto lei?”
“No, io non sono del posto, sono nato ad Aguascalientes, ho
vissuto nel D.F. e sono qui solo da tre anni. Me l’hanno
raccontato”.
“Ed è successo lì davanti?”
“Proprio lì; in quel punto il cinese ha varcato il
confine sette volte”
Héctor Belascorán Shayne, che svolgeva la pessima
professione del detective democratico e indipendente messicano,
osservò attentamente la recinzione di filo verde di filo
spinato
che segnava la frontiera con gli Stati Uniti tagliando paesi come si
taglia il burro; la barriera verde, apparentemente inoffensiva, che dal
lato messicano finiva nell’erba e negli alberelli del parco
Revolución di Mexicali.
Il fantasma di
Zapata – Marco Tropea
Con i tempi che corrono, il detective Héctor
Belascoaràn
Shayne ha fin troppo lavoro. I casi da risolvere adesso arrivano tre
alla volta. C'è chi lo incarica di scoprire dove si nasconde
il
vecchio rivoluzionario Emiliano Zapata (o di acchiapparne il fantasma),
perchè la leggenda che lo vuole vivo e vegeto si nutre di
nuovi,
clamorosi indizi. C'è una trepida e bellissima attrice,
passata
dalle recite scolastiche di Garcìa Lorca fino alle pellicole
hard-core messicane, che lo prega di scoprire cosa c'è
dietro il
tentato suicidio della figlia. E per finire si presenta anche un
committente davvero insolito per il ribelle Belascoaràn: una
associazione di industriali che gli chiede di far luce sull'assassinio
di un dirigente molto poco amato da colleghi e sottoposti.
Belascoaràn, sfidando ogni buon senso, si convince che i tre
casi siano legati da un profondo significato, perchè nei
gialli,
come nella vita, va sempre a finire che i fili si ricongiungono. Tra il
dolore per la morte della madre, il ricordo di un amore lontano e la
rumorosa presenza dei "professionisti" con cui condivide l'ufficio (un
idraulico, un tappezziere e un esperto di spurghi), anche questa volta
il detective faticherà non poco a mettere insieme i pezzi di
quel rompicapo che sono le vite confuse e violente degli abitanti di
Città del Messico.
L’incipit.
“Un’altra, capo” disse
Belascorán Shayn.
Era scivolato verso il bancone e vi si era ancorato con i gomiti
già da mezz’ora. Lì, con lo sguardo
perso nel
vuoto, aveva lasciato che il tempo passasse interrompendo di quando in
quando il fluire delle proprie idee con secche ordinazioni al barista.
Il Faro della Fine del Mondo, cantina alla moda, si trovava nel
quartiere vecchio della città feudale di Azcapotzalco, in
quella
che un tempo veniva considerata periferia e che oggi era un nuovo
centro febbrile, con pittoreschi scorci di case rurali, cimiteri,
chiesette di campagna e una mostruosa raffineria, orgoglio della
tecnologia anni cinquanta.
Giorni di battaglia
- Marco Tropea
buon posto come ingegnere e una solida routine matrimoniale. ma ha
anche la fastidiosa e irreprimibile sensazione di non sopportare
più né l'uno né l'altra.Una sera,
uscendo da un
cinema dove ha visto un film su un aspirante Sherlock Holmes,
Belascoaràn si ritrova a scorrere i quotidiani che sparano a
quattro colonne un delitto inspiegabile. E' solo la prima, efferata
impresa dello strangolatore che si aggira a Città del
Messico.
Uccide solo donne, colpisce nel cuore della notte, di solito per strada
e, apparentemente, sceglie a caso le sue vittime. Per
Belascoaràn è quasi un'illuminazione: si sente
chiamato a
scoprire l'identità dello psicopatico che rivendica tutti i
suoi
delitti con un messaggio enigmatico firmato "il Cervelo", con una l
sola. Forse è una missione, forse solo un'ossessione oscura,
in
ogni caso abbandona tutto, moglie e impiego, e si dedica anima e corpo
alla caccia dell'assassino. Il quale, lusingato da tanta attenzione,
comincia ad indirizzare i suoi messaggi direttamente all'investigatore,
irrompendo brutalmente la sua vita. La travolgente vena narrativa di
PIT II questa volta ha creato un thriller capace di tuffarci
nell'incubo di una metropoli crudele, cinica e violenta. E un eroe con
qualche macchia, molte paure e un incontenibile bisogno di
verità che lo trascina in una lunga serie di avventure: il
detective privato Héctor Belascoaràn.
L’incipit.
“Occhio, capo, che me li calpesta”
disse all’idraulico con cui divideva l’ufficio.
“Allora perché li mette per terra?”
“Per vederli tutti, cazzo”.
“Tutti insieme?”
“’Fanculo”.
“Sua sorella” vaticinò imperterrito
Gilberto
l’idraulico, poi si sistemò da una parte il
berretto alla
Sherwin Williams e uscì.
Héctor attese il tonfo della porta e si accese una
sigaretta. La
fumò lentamente, con calma, come se l’insulto gli
avesse
fornito la dose di pace necessaria a riportare le idee sui loro binari.
Fuori faceva freddo, più freddo del solito. Negli ultimi
minuti,
i rumori del traffico si erano intensificati: il torrente della
maledetta baraonda di fumo e di clacson, di marmitte che strepitavano e
di semafori rossi. La sinfonia delle sette di sera.
Come la vita
– Il Saggiatore
José Daniel Fierro, democratico convinto e indolente autore
di
gialli, dal piovoso Distrito Federal si ritrova catapultato quasi per
scherzo, come capo della polizia, nel “comune
rosso” di
Santa Ana, cittadina mineraria del Nord messicano in mano a
latifondisti e uomini senza scrupoli. Ad accoglierlo, una sparatoria
all’ora di pranzo e una serie di cadaveri. Accompagnato da
una
sgangherata combriccola do compagni, con una spilla dell’Uomo
Ragno come distintivo, lo sceriffo-scrittore José Daniel
trasformerà l’indagine in un’avventura
scoppiettante.
L’incipit.
“Se in questa città non piovesse,
sarei
già andato via da un pezzo” pensava
José Daniel
Fierro riflettendo sui suoi pensieri; perché alcuni erano
oggetto del suo lavoro, pensieri da riutilizzare che formavano frasi e
prendevano la strada della macchina da scrivere. Questa riflessione era
sua, ma avrebbe anche potute essere del vecchio seguace di Pancho Villa
che lavorava in un negozio di ferramenta a circa metà del
terzo
capitolo del romanzo che stava scrivendo. “Se non
piovesse”... scriveva col pensiero, guardando la gocce
d’acqua che si schiantavano contro i doppi vetri di fronte al
suo
tavolo bianco, e senza sentirlo immaginava il loro splash, i piccoli
plop.
Ha partecipato all'Edizione 2004
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